giovedì 18 dicembre 2008

NELLE AZIENDE E` IL TEMPO DEI MIGLIORI CERVELLI

Continuare ad investire sulle risorse umane
Nell’ottobre del1995, per la precisione il giorno 25, morì mio padre all’improvviso, mentre stava guardando il telegiornale.
Un infarto fulminante, non avendo mai avuto prima patologie gravi. Il giorno dopo ero improvvisamente vuoto come se non avessi mai avuto un padre nella vita. Si chiamava Gregorio ed aveva l’abitudine di parlare poco, specialmente del suo lavoro che dimenticava non appena rientrava in casa. Era una persona che comunicava molto con l’esempio.
Non sapevo nulla del suo lavoro perciò decisi in fretta di recarmi presso la caserma di polizia di Castro Pretorio a Roma, dove prestava servizio da almeno 40 anni. Andai dal generale Rana e gli chiesi chi fosse mio padre. Mi accompagnò dal responsabile del personale e lo pregò di farmi vedere due fascicoli, uno di un giovane poliziotto con due anni di carriera entrato in servizio dopo la riforma della polizia e l’altro quello di Gregorio. Il primo era zeppo di fogli: richieste di indennità per malattie, o presunte tali, dovute, secondo lui, a problemi lavorativi, cause contro l’amministrazione per aver esercitato mansioni superiori al proprio grado, richieste varie di aumenti di stipendio,vertenze sindacali, un’infinità di malattie e di assenze senza giustificato motivo, ecc.ecc.
Il secondo, quello di mio padre, con appena due fogli: un’influenza nel 1972 che lo aveva tenuto a casa per un giorno, e un ultimo foglio dove il prefetto di Udine chiedeva al suo collega di Roma un encomio a favore di Gregorio Bartolomei per aver salvato da sicura morte due persone rimaste sotto le macerie durante il terremoto di Gemona in Friuli e per aver recuperato materiale prezioso dell’archivio di Stato scavalcando i fili dell’alta tensione a sprezzo del pericolo e mettendo a rischio la propria vita.
Sotto, la firma autografa di mio padre con una sua annotazione: “Rifiuto…era mio dovere”
Me ne andai tra le lacrime ma fiero di un padre così valoroso, e da allora rinnovai a me stesso il patto che sarei dovuto diventare sempre di più come lui.
Avevo nel cuore una grande speranza quella di credere al bene che ciascuno di noi può fare intorno a se stesso dando, specialmente ai giovani, il proprio esempio positivo e ricambiando loro tutta la fiducia umana possibile.


Anche Telemaco, figlio di Ulisse, intraprese un viaggio nel Peloponneso per sapere chi fosse suo Padre di cui non ricordava nulla se non i racconti che gli faceva sua madre Penelope. Andò a Sparta da Menelao e poi da Nestore a Pilo per sapere da loro, che lo avevano conosciuto bene, chi fosse Ulisse. Poi finalmente appagato e fiero tornò ad Itaca e sconfisse i Proci con la speranza e la fiducia che sarebbe riuscito a liberare sua madre dall’assedio dei vari pretendenti al trono.
Dobbiamo avere fiducia nel futuro scegliendo di essere i protagonisti dell’avvenire delle nuove generazioni.
Tale scelta presuppone un costante rinnovo, giorno per giorno, di nuovo ed in proprio.
Profondamente consapevoli che se vorremo lasciare traccia molto dipenderà da questa promessa.
Le crisi, anche quelle economiche, mondiali, non sono colpa delle nuove generazioni, come se i figli che nascono oggi fossero così diversi da quelli che nascevano prima.
Diventa impellente l’esigenza di trasmettere ai giovani qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la vita di ciascuno.
C’è bisogno di fiducia per i genitori, preoccupati ed angosciati per il futuro dei loro figli, chiedono fiducia gli insegnanti per loro stessi e per i propri alunni, chiede di avere fiducia la società nel suo complesso che vede minate le basi della convivenza civile.
Chiedono fiducia i giovani che soffrono il loro disagio e che non vogliono essere abbandonati di fronte alle sfide della vita. Ma la fiducia nasce dall’amore di chi vuole donare agli altri qualcosa, magari anche solo con l’esempio, come fece con me mio padre.
Le idee e gli stili di vita, le leggi e l’immagine che diamo della società in cui viviamo e che essa stessa propone attraverso i media, tutto esercita una grande influenza sulla formazione dei giovani e quindi sul futuro dell’umanità, sia per il bene ma spesso anche per il male.
La società non è un’astrazione, siamo noi stessi e i rappresentanti politici che ci diamo quando siamo chiamati a votare. Per questo ognuno può fare molto più della politica, che è incastrata ed imballata dagli stessi meccanismi che essa stessa ha generato.
Alla radice di questa crisi economica c’è infatti una crisi più profonda di fiducia nella vita che mette in ombra la speranza e che non ci aiuta ad uscire dall’isolamento spingendoci ad essere meno solidali con gli altri.
I giovani che sono la forza lavoro del nostro paese hanno bisogno di formare il loro carattere e di rafforzare la loro personalità. Il mondo del lavoro paradossalmente preferisce avere una Ferrari ferma in un garage e non avere al suo posto soltanto delle enormi riserve di semplice carburante.
Meglio sarebbe possedere entrambe le cose.
E comunque, dovendo scegliere, chi acquista sceglierebbe sempre la Ferrari anche con il serbatoio a secco, perché le benzine si possono acquistare, o si possono sempre ottenere attraverso la ricerca, mentre le potenzialità se le hai bene, altrimenti non puoi farci nulla.
Per avere le potenzialità i giovani devono costruire il loro motore attraverso una sana capacità di orientamento nella propria vita sapendo scegliere il bene dal male preoccupandosi della loro salute, non soltanto fisica ma anche morale, ed ispirandosi a valori positivi come accadde al sottoscritto quando tornò a casa da quella caserma di polizia.
Il mondo continuerà nonostante le nostre catastrofiche previsioni e le aziende, se vogliono continuare a crescere, continueranno ad assumere persone giovani, veri e propri agenti del cambiamento, uomini in grado di cambiare le attuali regole del gioco.
Non è vero che nessuno assume durante una crisi economica o che le imprese non investono.
Ci sono attualmente molte aziende, per lo più europee, in gran parte spagnole e tedesche, che stanno scegliendo politiche a favore della famiglia, “work family balance”.
Si tratta di un movimento piuttosto interessante che prevede una sorta di certificazione di qualità per coloro che sviluppano politiche lavorative a favore della donna, per esempio con il tele lavoro, a favore dei figli, con gli asili nido aziendali, a favore della coppia, con i centri di ascolto, o mettendo in atto orari di lavoro che tengono conto dei tempi famigliari evitando di tenere i dipendenti in azienda fino a tarda sera.
Queste aziende, family friendly, attraggono i migliori talenti sul mercato, quelle professioni che si sono formate per esempio all’estero e che hanno degli splendidi curricula, tutto ad esclusivo vantaggio delle stesse aziende che propongono simili politiche. Questo contribuisce ad uscire prima e meglio dalla crisi perché si può fare affidamento sui migliori cervelli presenti sul mercato del lavoro e perché si respirano climi aziendali veramente a misura d’uomo.
Sembrerebbe, da quanto ci stiamo dicendo, che per tenere botta anche durante una crisi economica di queste proporzioni, si deve paradossalmente continuare a spendere ed investire con grande fiducia sull’essere umano unica vera risorsa insostituibile ed indispensabile per il futuro dell’umanità.

Pierluigi Bartolomei


Pubblicato su Piùvoce.net il 18 dicembre 2008

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